Archivio annuale 02/05/2018

AGEVOLAZIONI PRIMA CASA

Agevolazioni prima casa e detrazione sugli interessi passivi del mutuo viaggiano su strade separate, quindi come spesso accade molte volte si può generare confusione fra le due cose, pensando che le regole di un’agevolazione valgano anche per l’altra. Invece non è così. Le agevolazioni “prima casa” stanno alla base delle agevolazioni fiscali sull’acquisto dell’immobile, mentre il termine “abitazione principale” costituisce la base della detrazione sugli interessi passivi (non solo in caso di mutuo stipulato per l’acquisto dell’abitazione, ma anche per quello stipulato ai fini della costruzione). In altre parole, non necessariamente, sullo stesso immobile, l’applicazione di un beneficio comporta la consequenziale applicazione dell’altro. Anche l’arco di tempo in cui i due benefici vengono goduti è differente: da una parte circoscritti al solo momento dell’acquisto, e dall’altra spalmati attraverso più annualità.

 

I benefici in materia di imposte sull’acquisto della prima casa sono:
imposta di registro al 2% del valore catastale in caso di acquisto da un cittadino privato, in alternativa l’IVA con aliquota al 4% se l’acquisto avviene da un’impresa edile o da una cooperativa edilizia, poi le imposte ipotecaria e catastale che in caso di acquisto da cittadino privato sono ciascuna pari ad Euro 50; mentre in caso di acquisto da un soggetto passivo Iva ammontano ciascuna ad Euro 200.

Infatti come detto in precedenza, la prima casa non necessariamente coincide con l’abitazione principale. Quest’ultima, infatti, non può essere altro che la dimora fisica del contribuente, cioè l’immobile dove egli vive, mentre la prima casa è semplicemente un immobile abitativo il cui acquisto gode delle suddette agevolazioni nel momento in cui si rispettano determinati requisiti.

Per capirlo è sufficiente ricordare quali sono le tre regole d’oro affinché su l’acquisto trovino applicazione i benefici.
1) L’acquirente al momento dell’atto, deve impegnarsi – qualora non l’abbia già fatto – a stabilire entro 18 mesi la sua residenza nello stesso Comune dove si trova l’immobile, oppure se diverso nel territorio del Comune dove l’acquirente svolge la propria attività;
2) di non essere titolare, esclusivo o in comunione col coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune dove si trova l’immobile oggetto dell’acquisto agevolato;
3) di non essere titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione, acquistata, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa.

A partire però da gennaio 2016 la nuova Legge di Stabilità è intervenuta ammettendo comunque l’acquisto della prima casa anche laddove non venga rispettato il secondo requisito, ovvero l’assenza di un altro immobile acquistato con l’applicazione dei benefici, a condizione però che entro un anno dalla data del nuovo acquisto il contribuente lo venda. Si può ad ogni modo notare come queste regole non prevedano in nessun modo l’obbligo di stabilire la propria dimora nell’immobile “prima casa”: è infatti sufficiente che la residenza anagrafica coincida col Comune dove si trova la casa acquistata, dopodiché, anche se l’appartamento dovesse restar vuoto o venir affittato, tale situazione non comporterebbe la decadenza dai benefici.

La decadenza di tali benifici infatti avviene solo in questi casi:
1) le dichiarazioni previste dalla legge nell’atto di acquisto sono false;
2) l’abitazione è venduta o donata prima che siano trascorsi cinque anni dalla data di acquisto, a meno che, entro un anno, non si riacquista un altro immobile da adibire in tempi “ragionevoli” a propria abitazione principale (il requisito del riacquisto non si considera soddisfatto nel caso in cui venga stipulato, entro l’anno dalla vendita del primo immobile, un contratto preliminare, in quanto questa fattispecie negoziale non produce l’effetto reale del trasferimento del bene, ma soltanto quello obbligatorio di concludere il contratto definitivo);
3) non viene trasferita la residenza nel Comune ove è situato l’immobile entro diciotto mesi dall’acquisto.

Viceversa, ai fini della detrazione sugli interessi passivi del mutuo (acquisto e/o costruzione) è importantissimo che l’immobile venga adibito entro un certo tempo ad abitazione principale. Nel caso dei finanziamenti stipulati per l’acquisto, la dimora dev’essere stabilita entro un anno dall’atto, mentre in caso di costruzione entro sei mesi dalla fine dei lavori.

ISOLAMENTO TERMICO NELLE ABITAZIONI

ISOLAMENTO TERMICO – CAPPOTTO ESTERNO O INTERNO NELLE ABITAZIONI

Isolamento termico a cappotto esterno
Questo tipo di applicazione è la più diffusa ed è quella che garantisce la migliore resa in termini di microclima interno sia in Estate che in Inverno, esso si applica nel 90 % dei casi in villette unifamiliari o piccoli edifici residenziali semplicemente perché in queste circostanze c’è più libertà di movimento lungo il perimetro dell’unità e l’altezza è ridotta, quindi è più “gestibile” come situazione, anche se negli ultimi periodi con gli incentivi statali si sta diffondendo l’isolamento termico a cappotto esterno sulle facciate di grandi condomini per la riqualificazione degli edifici.

Detto questo andiamo ad approfondire i pro ed i contro dell’isolamento termico a cappotto esterno, i pro sono sicuramente tanti in primis i benefici che si ottengono in termini di confort abitativo e di risparmio energetico, in Inverno il cappotto funge da protezione per l’involucro edilizio quindi riduce la transmittanza termica del freddo proveniente dall’esterno, quindi si ha una riduzione dei consumi di riscaldamento ed una temperatura più costante all’interno in quanto il calore non viene assorbito delle pareti e dal tetto e quindi resta immagazzinato in casa. In Estate invece c’è sempre un enorme risparmio energetico dovuto alla riduzione di accensione degli impianti di condizionamento in quanto il calore esterno ed i raggi solari che sono orientati sul tetto non riescono a penetrare grazie all’azione del materiale isolante inoltre si riducono i ponti termici. I contro dell’isolamento termico a cappotto esterno sono sicuramente il costo elevato che varia in base alle difficoltà della location (spazio libero intorno alla casa, accessibilità al tetto etc…) e dal materiale da acquistare.

Isolamento termico a cappotto interno
Questo metodo di applicazione è sicuramente molto meno diffusa e meno efficace rispetto al cappotto esterno, ma è molto utile negli appartamenti presenti nei centri urbani dove non è possibile effettuare lavori esterni, in questo caso l’isolamento termico a cappotto interno si applica incollando con della malta specifica dei speciali pannelli isolanti di spessore ridotto direttamente sulle pareti interne all’appartamento. I pro di questo intervento sono sicuramente il costo ed i tempi di posa in opera ridotti ed il risparmio in termini di materie prime, i contro sono una riduzione volumetrica delle stanze in quanto si applicano sulla parete già esistente e difficoltà di applicazione in alcune zone della casa (dietro cucina, armadi).

COMPRARE CASE IN CLASSE A

NON SEMPRE CONVIENE COMPRARE CASA IN CLASSE A
Gli incentivi fiscali e soprattutto gli obblighi di legge contribuiranno a diffondere sempre di più le abitazioni ad alta prestazione energetica. Eppure, a livello di compravendite, queste rappresentano ancora una nicchia. Colpa del costo, certo, ma anche perché i potenziali acquirenti faticano a soppesare davvero la bontà della scelta. In quanto tempo ammortizzerò la spesa, a livello di risparmio energetico? Quanto varrà di più l’immobile? Oppure, se dovessi
ristrutturare, perché mi converrebbe “spingermi” fino alla classe A o oltre?
Oggi, secondo il rapporto congiunto i-Com-Enea-Fiaip, sul totale delle compravendite non più del 3-7% rientra nelle classi A+, A e B. E non va meglio per gli alloggi ristrutturati, che spesso si fermano alla C, e solo l’11% di queste operazioni eleva l’immobile dalla B in su.
Quanto ai prezzi, tracciare una media è difficile. «Se parliamo dei centri delle grandi città, gran parte del costo è dovuto alla posizione, più che alla classe energetica. Per acquistare questo
tipo di soluzioni, è sempre meglio spostarsi verso la periferia», ragiona Franco D’Amore, direttore dell’area Energia di i-Com.

Secondo (…) il prezzo medio degli immobili in Italia è di 1.940 euro al metro quadrato, mentre il costo medio per una casa in classe A è di 2.618 euro, una differenza quindi del 34%, ma che può toccare punte del 60% per progetti di particolare pregio, magari in classe A++, oppure vicini al centro.
E anche nella scelta “nuovo in classe A” contro “ristrutturato”, la seconda soluzione conviene sensibilmente: gli alloggi risistemati costano in media 2.262 euro al metro e consentono un risparmio vicino al 16 per cento. Perché, allora, investire nell’alta efficienza? «Tra breve, chi sceglierà il nuovo sarà obbligato a ricadere in queste classi per un mix di obblighi normativi», dice Domenico Prisinzano, ingegnere dell’unità Efficienza energetica dell’Enea. Almeno sulla carta infatti, dal 2021 tutti i nuovi edifici residenziali dovranno essere a energia quasi-zero, stando al D.M. 26 giugno 2015, il cosiddetto “requisiti minimi”. In virtù del Dlgs 28 del 2011,
FIAIP News24, numero 43 – Maggio 2017 6 almeno il 50% dei consumi dovranno essere coperti da fonti rinnovabili, già per tutte le licenze edilizie richieste dal 1° gennaio 2018 (doveva essere 2017, ma il termine è stato esteso con l’ultimo decreto Milleproroghe). Eppure, se ci sarà l’obbligo a costruire, di sicuro non esisterà quello di acquistare immobili ad alta efficienza. E lo stock di immobili “energivori” sarà sempre
elevato e più a buon mercato.
Un paragone, calcolato da i-Com, potrebbe però convincere l’investitore anche solo a operare una buona ristrutturazione. Supponiamo di avere due abitazioni di 100 metri quadrati, una in classe A+ con un consumo energetico pari a 12 KWh/mq anno e una in classe G, con consumi pari a 210 kWh/m2 anno, alimentate a gas e posizionate in centro Italia. Si possono stimare costi per la gestione energetica di 170 euro l’anno nel primo caso e 1.440 nel secondo. Su un periodo di 15 anni, equivalgono a 2.550 euro (25,5 al metro) e di 21.600 (216 euro al metro).
Vediamo questi valori in rapporto ai prezzi. Per un immobile da ristrutturare, che si suppone in classe G, un valore medio di mercato oggi può approssimarsi in 1.500 euro al metro quadrato.
Significa che su questo valore i costi energetici incidono per circa il 14%. «Ristrutturando questo immobile e portandolo in classe A+, il suo valore di mercato, solo considerando i
risparmi energetici cumulati su 15 anni, dovrebbe aumentare di circa il 14%», conclude D’Amore di i-Com.
(Adriano Lovera, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Casa24”, 20 aprile 2017)

LA VENDITA ALL’ASTA SANA GLI ABUSI?

LA VENDITA ALL’ASTA NON SANA GLI ABUSI EDILIZI
La vendita all’asta di un immobile nell’ambito di una procedura espropriativa non comporta nessun effetto sanante degli eventuali illeciti edilizi realizzati. A ribadirlo è il Consiglio di Stato,con sentenza del 2 maggio 2017, n. 1996.
Sempre più frequentemente si preferisce acquistare un immobile attraverso il canale delle aste giudiziarie: sia perché il prezzo di aggiudicazione è, spesso, molto più basso del valore di mercato, sia perché si evitano le spese del rogito notarile; difatti l’immobile viene trasferito all’aggiudicatario mediante il decreto di trasferimento adottato dal giudice.
Inoltre, è possibile avvalersi di agevolazioni fiscali; a tal riguardo si ricorda che l’art. 16 del D.L. n. 18/2016, convertito dalla L. n.49/2016, ha introdotto un regime di notevole favore per gli acquisti di immobili all’asta. Tuttavia, occorre tener presente che gli immobili sottoposti a pignoramento possono essere venduti anche nel caso in cui siano stati edificati commettendo abusi edilizi: in tal caso, entro quanto tempo è possibile sanare gli illeciti edilizi di un siffatto immobile acquistato all’asta?
Il Legislatore, proprio in merito alla scansione dei tempi per attivare la procedura di sanabilità delle opere, all’art. 40, ultimo comma, della Legge numero 47 del 1985, ha disposto che “nell’ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge”.


Tuttavia, dal tenore della predetta disposizione non è assolutamente possibile dedurre che gli illeciti edilizi possano ritenersi sanati sic et simpliciter per effetto della sola conclusione della procedura esecutiva immobiliare.
Ad affermarlo è il Consiglio di Stato – con sentenza del 2 maggio 2017, n. 1996 – secondo cui
“La vendita all’asta di un immobile nell’ambito di una procedura espropriativa non importa alcun effetto sanante degli eventuali illeciti edilizi realizzati”.
Nel nostro ordinamento, difatti, non si rinviene nessuna disposizione normativa positiva da cui dedurre che la vendita all’asta, nell’ambito di una procedura espropriativa, comporterebbe effetto sanante degli eventuali illeciti edilizi realizzati.
Del resto alla medesima conclusione non è possibile pervenire neppure applicando il principio generale del c.d. “effetto purgativo” derivante dalla natura di acquisto a titolo originario del bene, effetto che riguarda più propriamente i diritti, i pesi e le limitazioni legali gravanti sul bene e non già lo stato di fatto materiale e antigiuridico in cui in ipotesi si trovi il bene.
Qualora l’abuso non sia sanabile, quali obblighi gravano sul compratore? Il compratore è tenuto a ripristinare in toto l’immobile allo stato precedente gli abusi edilizi; tuttavia, dal prezzo di asta dovrà essere decurtato l’importo necessario per il relativo ripristino.
(Daniela Sibilio, Il Sole24ORE – Estratto da “Tecnici24”, 16 maggio 2017)

CONTRATTO DI AFFITTO CHI PAGA?

A chi spetta pagare il compenso per l’agente immobiliare quando si affitta un appartamento? Si tratta sicuramente di un tema annoso, sul quale è utile fare un po’ di chiarezza.
La risposta, infatti, cambia in base alle circostanze: chi deve pagare l’agenzia immobiliare? L’inquilino o il proprietario? Anche se la legge stabilisce che la provvigione debba essere divisa in parti uguali, la norma generale può essere modificata.

 

Se il locatore ha incaricato un’agenzia immobiliare di trovare potenziali interessati a l’affitto di un appartamento, può prevedere che a pagare la provvigione sia l’inquilino. Nel caso in cui il padrone di casa stabilisce nel contratto una clausola secondo la quale a corrispondere la provvigione deve essere l’inquilino, se questi si sottrae al pagamento, non sta rispettando il contratto.

Il pagamento dell’agenzia immobiliare costituisce un onere a cui non poche volte le parti tendono a sottrarsi. La giurisprudenza fa chiarezza nel definire il momento in cui l’agente matura il diritto alla provvigione: quando, grazie alla sua attività, le parti concludono l’affare (anche se la firma del contratto avviene dopo la scadenza dell’incarico). L’affare s’intende concluso quando, per effetto dell’apporto del mediatore, si sia costituito tra il padrone di casa e il futuro inquilino un vincolo tale da condurre alla stipula del contratto vero e proprio (ad esempio un compromesso).

La legge stabilisce che la provvigione dell’agenzia immobiliare sia a carico di tutte e due le parti. Ma la regola può sempre essere modificata. L’inquilino e il padrone di casa infatti sono liberi di prevedere una deroga alla disciplina legale stabilendo – come succede nella norma – che il compenso a l’agente sia a carico dell’inquilino. Questo significa che il padrone di casa è libero di porre, tra le condizioni dell’affitto, l’obbligo per l’inquilino di corrispondere la provvigione. Se quest’ultimo si sottrae al pagamento, ritenendo che competa al locatore, non sta rispettando il contratto.

Se il locatore ha incaricato un’agenzia immobiliare per trovare potenziali interessati all’affitto e tra i patti è previsto che la provvigione sia a carico dell’affittuario, sarà quest’ultimo a dover versare il compenso al mediatore, anche se non gli ha mai conferito alcun incarico e non ha mai firmato un contratto con l’agenzia. In questi casi, infatti, come chiarito dalla Cassazione, non conta la presenza di un accordo scritto ma l’utilità concreta che il mediatore, con la propria opera, sia riuscito a realizzare in favore dei contraenti.
Normalmente quindi, la spesa dell’agenzia è a carico sia del padrone di casa che dell’inquilino, salvo patto contrario. Per cui, se tra le condizioni imposte dal locatore vi è il pagamento, a cura dell’inquilino, della provvigione quest’ultimo non potrà sottrarsi al versamento dell’importo.

Ricordo che il mediatore deve svolgere il proprio incarico rimanendo indipendente ed imparziale (ossia neutrale) rispetto alle parti , benché abbia ottenuto l’incarico solo da una di queste. Per aver diritto alla provvigione egli deve avere concretamente contribuito alla conclusione dell’affare: non è necessario che la sua opera sia la causa unica e diretta della conclusione del contratto, ma è sufficiente che abbia messo in contatto le parti e che tale circostanza costituisca l’antecedente indispensabile senza il quale l’affitto non sarebbe stato concluso. Non è necessario che l’opera del mediatore duri fino alla conclusione dell’affare. Ciò può verificarsi, ad esempio, nel semplice fatto di reperire l’altro contraente oppure nella segnalazione dell’affare.

Estratto da mioaffitto news del 27/06/2017